Novità per la sicurezza antincendio: il decreto 03/09/21

Il decreto 03.09.2021, in vigore dal 28.10.2022, definisce i criteri di sicurezza antincendio per i luoghi di lavoro.

Dopo un’analisi sulle novità in materia di formazione antincendio e una in merito alla manutenzione di estintori e sistemi antincendio, eccoci alle novità più generali in materia di sicurezza antincendio: il decreto 3 settembre 2021, che entrerà in vigore il 28 ottobre 2022.

Che cos’è la sicurezza antincendio

L’insieme delle misure finalizzate a evitare l’insorgere di un incendio e a limitarne le conseguenze nel caso in cui si verifichi costituiscono la sicurezza antincendio. In termini più concreti si parla dei criteri di progettazione degli edifici, di gestione delle attività ordinarie e delle procedure di gestione delle emergenze.

Il decreto 3 settembre 2021 definisce i criteri di sicurezza antincendio in relazione ai luoghi di lavoro, con l’esclusione dei cantieri temporanei e/o mobili.

L'insieme delle misure finalizzate a evitare l'insorgere di un incendio e a limitarne le conseguenze nel caso in cui si verifichi costituiscono la sicurezza antincendio.

Le misure di sicurezza antincendio secondo il decreto 03 settembre 2021

Il datore di lavoro deve comprendere nel DVR la valutazione del rischio incendio e le relative misure di prevenzione e protezione, avendo cura di rendere la valutazione coerente e complementare alla valutazione del rischio esplosione.

Il decreto prevede che la valutazione del rischio incendio possa essere effettuata per i luoghi di lavoro a basso rischio d’incendio secondo criteri semplificati contenuti nell’allegato I al decreto stesso.

Il datore di lavoro deve comprendere nel DVR la valutazione del rischio incendio e le relative misure di prevenzione e protezione.

I luoghi di lavoro a basso rischio d’incendio sono definiti nello stesso allegato I e comprendono i luoghi ove non si svolgono attività soggette a controlli di prevenzione incendi (quindi tutte le attività non ricomprese nell’elenco dell’Allegato I al decreto del Presidente della Repubblica n. 151 del 2011) e che presentino tutti i seguenti requisiti aggiuntivi:

  • affollamento complessivo di 100 occupanti, dove l’occupante è una persona presente a qualsiasi titolo all’interno dell’attività;
  • superficie lorda complessiva 1000 m2;
  • piani situati a quota compresa tra -5 m e 24 m;
  • senza detenzione o trattamento di materiali combustibili in quantità significative (qf > 900 MJ/m2);
  • senza detenzione o trattamento di sostanze o miscele pericolose in quantità
    significative;
  • senza lavorazioni pericolose ai fini dell’incendio.
I luoghi di lavoro a basso rischio d'incendio sono definiti nell'allegato I al decreto 3 settembre 2021.

Per tutti gli altri luoghi di lavoro i criteri di progettazione, realizzazione ed esercizio della sicurezza antincendio sono quelli riportati nel decreto del Ministro dell’interno 3 agosto 2015 (“Approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi, ai sensi dell’articolo 15 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139“).

Come e quando adeguare i luoghi di lavoro esistenti

I luoghi di lavoro esistenti alla data di entrata in vigore del decreto (28.10.2022) dovranno adeguarsi nei casi previsti dall’art.29, comma 3, del D. L.vo 81/08, e cioè:

  • in occasione di modifiche del processo produttivo o dell’organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori;
  • in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione o della protezione;
  • a seguito di infortuni significativi;
  • quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità.

Il documento di valutazione dei rischi deve essere rielaborato nel termine di trenta giorni dalle rispettive causali, ma il datore di lavoro deve comunque dare immediata evidenza, attraverso idonea documentazione, dell’aggiornamento delle misure di prevenzione e immediata comunicazione al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.

La novità normativa non è forse un’evoluzione della prevenzione?

Novità manutenzione estintori e sistemi antincendio

Una sintesi delle novità per controllo e manutenzione di estintori e sistemi di sicurezza antincendio previste dal decreto 2 settembre 2021.

Dopo l’approfondimento sulla novità della formazione antincendio, eccomi pronta a parlarvi delle novità in materia di controllo e manutenzione di impianti, attrezzature e altri sistemi di sicurezza antincendio definite dal decreto 2 settembre 2021 che entrerà in vigore il 25.09.2022 (a eccezione della qualifica dei manutentori, prorogata al 25 settembre 2023 dal Decreto 15 settembre 2022). Per intenderci sono i riferimenti che interessano anche la manutenzione degli estintori.

Chi è responsabile della manutenzione di estintori, impianti e sistemi antincendio?

Il datore di lavoro!

Che deve quindi provvedere affinché la manutenzione sia:

  1. eseguita a cura di tecnici manutentori qualificati;
  2. registrata.

Resta in carico al datore di lavoro la predisposizione del registro dei controlli in cui devono essere annotati i controlli periodici e gli interventi di manutenzione, la verifica dell’aggiornamento e la sua disponibilità per gli organi di controllo. Questo non significa che il datore di lavoro debba materialmente provvedere alla predisposizione del registro e al suo aggiornamento, ma che deve sovrintendere a tutto il processo, accertandosi che venga messo in atto nel rispetto delle disposizioni di legge.

Resta in carico al datore di lavoro la predisposizione del registro dei controlli in cui devono essere annotati i controlli periodici e gli interventi di manutenzione, la verifica dell'aggiornamento e la sua disponibilità per gli organi di controllo.

Con quale frequenza devono essere eseguite le manutenzioni?

Le cadenze temporali di verifica sono definite da:

  1. norme e specifiche tecniche pertinenti, nazionali o internazionali;
  2. manuale d’uso e manutenzione dell’impianto, attrezzatura o sistema antincendio.

In sostanza il decreto non introduce o modifica le scadenze di controlli e manutenzioni, ma fornisce un elenco di norme tecniche di riferimento (Allegato I).

Come si diventa tecnico manutentore qualificato?

Il tecnico manutentore qualificato deve possedere requisiti di conoscenza, abilità e competenza. In particolare deve:

  • svolgere un percorso di formazione specifica, la cui durata dipende dalla tipologia di impianti, attrezzature e sistemi di sicurezza antincendio che si intende manutenere (definite nell’Allegato II del decreto);
  • essere sottoposto a una verifica di competenza che, se superata, consente il rilascio dell’attestazione di tecnico manutentore qualificato da parte delle strutture centrali o periferiche del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
  • mantenersi aggiornato sull’evoluzione tecnica e normativa degli impianti, delle attrezzature e degli altri sistemi di sicurezza antincendio.
Da settembre 2022 chi effettua le manutenzioni e i controlli di estintori e sistemi antincendio deve avere adeguato la propria qualifica.

Due i dettagli da aggiungere:

  1. i soggetti che alla data di entrata in vigore del decreto (25.09.2022) svolgono attività di manutenzione da almeno 3 anni sono esonerati dalla frequenza del corso e possono richiedere di essere sottoposti alla valutazione di competenza necessaria per ottenere l’attestazione;
  2. il decreto non definisce durata e frequenza di aggiornamento della formazione.

Sintetizzando, da settembre 2023 chi effettua le manutenzioni e i controlli deve avere adeguato la propria qualifica, mentre tutti i datori di lavoro devono accertarsi di ricorrere a personale qualificato. Da settembre 2022, invece, i datori di lavoro devono comunque predisporre/ far predisporre per tutti i sistemi antincendio aziendali i relativi registri di manutenzione e far eseguire la manutenzione nel rispetto delle norme e manuali di riferimento.

Accordo sulle molestie e la violenza sul posto di lavoro

L'Accordo sulle molestie e la violenza sul lavoro del 26.01.16 è una disposizione di legge vincolante per le aziende. Che cosa richiede?

Il 26 gennaio 2016 è stato recepito in Italia l’Accordo sulle molestie e la violenza nei luoghi di lavoro, frutto di un’attività . Questo Accordo è vincolante al pari dell’Accordo sul telelavoro (16 luglio 2002) e di quello sullo stress lavoro correlato (8 ottobre 2004), anche se è meno conosciuto.

Molestie sul lavoro: che cosa si intende

Si parla di molestie quando uno o più individui subiscono ripetutamente e deliberatamente

  • abusi (forma fisica di molestia);
  • minacce e/o umiliazioni (forme verbali di molestia)

in un contesto di lavoro.

Perché si configurino le molestie sul lavoro sono necessarie due condizioni:

  1. la ripetizione dell’atto di abuso, minaccia e/o umiliazione;
  2. la volontà di chi lo attua.
Si parla di molestie quando uno o più individui subiscono ripetutamente e deliberatamente abusi, minacce e/o umiliazioni sul luogo di lavoro.

Violenza sul lavoro: in che cosa consiste

Si verifica una violenza quando uno o più individui sono aggrediti in contesto di lavoro, sia che l’autore dell’aggressione porti a compimento il gesto sia che, per ragioni diverse, la situazione non evolva dalla fase iniziale a quella di effettiva aggressione della vittima.

Da chi possono provenire minacce e violenza

Tra i potenziali autori di minacce e violenza sul lavoro non sono compresi solo colleghi, superiori o sottoposti, ma anche soggetti “terzi” comunque appartenenti al contesto lavorativo. Nello specifico l’Accordo richiama tre figure:

  1. i clienti, comprendendo così tutte le professioni che si trovano a lavorare con il pubblico;
  2. i pazienti, includendo tutte le professioni sociali, di assistenza e cura;
  3. gli studenti, considerando non solo ogni contesto educativo ma anche genitori e parenti.
L'Accordo del 26 gennaio 2016 prevede che in ogni contento lavorativo venga effettuata un valutazione del rischio specifico relativamente a molestie e violenza sul lavoro.

Molestie e violenza sul lavoro: come riconoscerle

Oltre agli aspetti legati alla definizione e ai soggetti che possono agire molestie o violenza, risulta utile tenere in considerazione 4 criteri descritti;

• la natura della molestia o della violenza, che può essere fisica, psicologica e/o sessuale;
• la frequenza con cui vengono poste in essere, per cui si può trattare di episodi isolati (ma ripetuti o comportamenti sistematici/abituali;
• i soggetti che li hanno posti in essere, che possono essere superiori, subordinati, colleghi di pare grado o soggetti terzi;
• l’intensità di molestie e violenza che comprendono tutto lo spettro compreso tra i casi minori di mancanza di rispetto ad atti gravi, qualificabili come reati e che richiedono
l’intervento delle autorità pubbliche.

Questi criteri aiutano solo a individuare tutte le possibili forme di molestia o di violenza e non servono per classificare l’accaduto. Questo perché la finalità dell’Accordo è quella di tutelare la dignità della persona e la sua salute, agendo a garanzia di un ambiente di lavoro non ostile.

Bisogna sensibilizzare il personale in merito alla necessità di non sottovalutare le dinamiche nelle quali è coinvolto e quindi di segnalarle tempestivamente a partire da eventuali minacce, che sono già considerate molestie.

Molestie e violenza sul lavoro: cosa fare

L’Accordo del 26 gennaio 2016 prevede che in ogni contento lavorativo venga effettuata un valutazione del rischio specifico e si definiscano le misure formative e organizzative da porre in atto per prevenire il manifestarsi molestie e violenze sul lavoro e quelle necessarie per gestirle nel caso si verificassero.

Il primo passo di tali misure è la sensibilizzazione in merito:

  1. alla necessità di non sottovalutare le dinamiche nelle quali si è coinvolti e quindi di segnalarle tempestivamente a partire da eventuali minacce, che sono già considerate molestie;
  2. alla possibilità di denunciare le umiliazioni subite senza alcun timore in merito alla necessità di provare che abbiano uno specifico obiettivo o che siano attuate per un preciso intento persecutorio, in quanto il loro verificarsi è sufficiente per legittimare la segnalazione.
L'Accordo del 26 gennaio 2016 prevede che in ogni contento lavorativo si definiscano le misure formative e organizzative da porre in atto per prevenire il manifestarsi molestie e violenze sul lavoro e quelle necessarie per gestirle nel caso si verificassero.

In termini operativi, le procedure hanno l’obiettivo di indicare le modalità con cui chi ha subito molestia o violenza può denunciare l’accaduto e avere garanzia che:

  • i referenti procedano con discrezione per proteggere dignità e riservatezza di tutte le parti coinvolte, senza rendere nota alcuna informazione a persone non coinvolte nl caso e ascoltando e trattando con correttezza e imparzialità tutte le parti coinvolte;
  • sia possibile avere l’assistenza esterna da parte di strutture territoriali individuate dalle parti sociali;
  • i casi segnalati saranno esaminati e gestiti senza ritardo ingiustificato;
  • le false accuse non saranno tollerate e potranno dare luogo a un’azione disciplinare e che quindi è necessario che i casi segnalati siano fondati su informazioni particolareggiate.
Le procedure aziendali per la gestione di segnalazioni di molestie o violenza sul lavoro possono includere una fase di confronto, assistenza e consulenza supportata da una persona indicata congiuntamente dalle parti sociali firmatarie dell'Accordo.

In merito all’assistenza esterna di strutture specializzate, le procedure aziendali possono includere una fase di confronto, assistenza e consulenza supportata da una persona indicata congiuntamente dalle parti sociali firmatarie dell’Accordo (Confindustria, CGIL, CISL e UIL).

Qualora il caso denunciato venga accertato, l’organizzazione deve:

  • adottare misure adeguate nei confronti di colui o coloro che hanno poste in essere molestie e/o violenza, come l’azione disciplinare del licenziamento, nel rispetto delle disposizioni del contratto collettivo di lavoro applicato nell’impresa;
  • rispettare i provvedimenti previsti dalle autorità pubbliche nel caso in cui l’accaduto si configuri come reato.

E tu, hai incluso la valutazione del rischio di molestie e violenza nel DVR della tua azienda?

Capire l’OT23 e chiedere la riduzione del tasso INAIL?

Si sente parlare di sconto INAIL, ma tecnicamente si chiama istanza di riduzione del tasso medio di tariffa INAIL per prevenzione.

Tecnicamente si chiama istanza di riduzione del tasso medio di tariffa INAIL per prevenzione. In parole più semplici significa che, ogni anno, il datore di lavoro che ha messo in atto interventi migliorativi della salute e sicurezza sul lavoro nell’anno solare precedente può presentare a INAIL una richiesta per ridurre uno dei parametri che determinano il premio assicurativo.

Ma procediamo un passo alla volta e cerchiamo di capire che cos’è lo sconto INAIL e come si può richiedere.

Il tasso medio di tariffa INAIL

Si tratta di un valore numerico che contribuisce al calcolo del premio INAIL, ossia del costo dell’assicurazione per infortuni e malattia, obbligatoria per datori di lavoro e artigiani senza dipendenti. In particolare il tasso medio di tariffa è rappresentativo della rischiosità a livello nazionale delle diverse lavorazioni associate a una PAT (Posizione Assicurativa Territoriale), ma può subire oscillazioni in relazione all’andamento degli infortuni e delle malattie professionali dell’impresa (più precisamente della singola PAT) oppure in caso di interventi migliorativi (quindi ulteriori rispetto a quelli previsti per dare attuazione agli obblighi di legge) in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro.

Il tasso elaborato dall’INAIL per la singola impresa (tasso medio nazionale aumentato o ridotto) è il cosiddetto tasso applicato. Viene comunicato dall’INAIL al datore di lavoro/artigiano entro il 31 dicembre di ogni anno e ha effetto dal 1° gennaio successivo a quello della comunicazione.

Il datore di lavoro/artigiano paga ogni anno il premio mediante l’autoliquidazione. L’autoliquidazione è l’operazione che deve essere effettuata ogni anno entro il 16 febbraio per calcolare il premio dovuto e procedere al pagamento (che può essere effettuato anche in 4 rate distribuite nel corso dell’anno). In questa fase deve utilizzare il tasso applicato.

In caso di interventi migliorativi (ulteriori rispetto a quelli previsti per dare attuazione agli obblighi di legge) in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro il datore di lavoro può richiedere lo scontro del premio INAIL.

Lo sconto INAIL per prevenzione

Mentre l’oscillazione del tasso medio di tariffa per andamento infortunistico e malattie professionali non è direttamente controllabile dall’impresa, quello per prevenzione, ossia legato alla realizzazione di interventi migliorativi in materia di salute e sicurezza sul lavoro, è un’opportunità a disposizione del datore di lavoro.

Se l’azienda è in regola con il pagamento dei contributi e dei premi assicurativi (DURC regolare) e rispetta le disposizioni di legge in materia di salute e sicurezza sul lavoro, attuando uno o più degli interventi che INAIL ha previsto in apposita modulistica (modello OT23) può richiedere ogni anno, entro la fine di febbraio, la riduzione del tasso medio di tariffa.

L’entità della riduzione è la seguente:

  • 8% per PAT che hanno un massimo di 2 anni di attività;
  • per PAT con più di due anni di attività varia a seconda del numero di lavoratori, come riportato nella tabella seguente.
fonte Inail.it

Lo sconto:

  • è valido solo per un anno solare;
  • si somma all’oscillazione del tasso per infortuni-malattie professionali.

L’applicazione dello sconto non è automatica, ma prevede la presentazione di documentazione che attesti l’esecuzione degli interventi dichiarati e il riscontro (positivo o negativo) di INAIL entro 120 giorni dalla presentazione della domanda e della documentazione. Dato che i requisiti degli interventi e della documentazione sono specificati nelle istruzioni di compilazione della domanda, si tratta essenzialmente di prestare attenzione ai dettagli.

La richiesta dello sconto INAIL richiede di verificare alcune condizioni.

Come richiedere lo sconto INAIL

  1. Verificare di essere in regola con il pagamento dei contributi e dei premi assicurativi (DURC regolare).
  2. Verificare di rispettare le disposizioni di legge in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
  3. Verificare di disporre delle credenziali di accesso ai servizi online del sito INAIL, perché la domanda deve essere presentata solo in modalità telematica. Si deve selezionare il menù “Servizi per te”, quindi “Datore di lavoro” e “Premio assicurativo”, poi “Denunce”.
  4. Realizzare uno o più degli interventi migliorativi elencati nel modello OT23, verificandone i requisiti di punteggio e ripetibilità.
    Il modello OT23 contiene l’elenco degli interventi per i quali si può richiedere la riduzione del tasso medio di tariffa e associa a ciascuno un punteggio. Per presentare la domanda è necessario che la somma dei punteggi associati agli interventi realizzati sia almeno pari a 100. Inoltre, mentre alcuni interventi possono essere dichiarati anche per più anni (ex. possesso di certificazioni di sistemi di gestione per la salute e la sicurezza o per la responsabilità sociale), altri possono essere dichiarati solo una volta.
  5. Entro l’ultimo giorno di febbraio (per il 2020 sarà il 29 febbraio) dell’anno solare successivo a quello di realizzazione degli interventi descritti al punto 4, accedere ai servizi online e procedere alla compilazione della richiesta di sconto INAIL, allegando la documentazione probante, ossia quella richiesta a dimostrazione dell’effettiva esecuzione degli interventi.
    Si potrebbe pensare di poter procedere alla domanda in qualunque momento dell’anno compreso tra una fine di febbraio e l’altra, in pratica si deve mantenere monitorato il sito di INAIL all’inizio di ogni anno per capire quando il servizio diventa attivo. In questo momento, per esempio, seguendo il percorso indicato al punto 1 non risulta ancora disponibile l’opzione “Denuncia OT23 2020”.

Le novità dal 2019

Il 1° agosto 2019 INAIL ha stato pubblicato sul proprio sito il nuovo modello (OT23) per presentare la domanda di riduzione del tasso medio di tariffa per prevenzione, che ha sostituito i precedenti OT24 e OT20. Puoi prendere visione del modello e delle istruzioni di compilazione in fondo a QUESTA pagina del sito INAIL.

Al di là del fattore numerico e di denominazione, la variazione sostanziale è il superamento della differenza nei requisiti di presentazione della domanda per le PAT con un massimo di due anni di attività e per quelle attive da più di due anni.

Una volta fatta richiesta, quanto tempo passa prima di ottenere lo sconto INAIL?

Ma quanto tempo passa prima di ottenere lo sconto?

La riduzione del premio INAIL non è immediata. Ecco un esempio pratico per capire i tempi effettivi.

  1. Il datore di lavoro sceglie di realizzare uno degli interventi previsti dal modello OT23 nel corso dell’anno (ipotizziamo il 2021).
  2. Entro l’ultimi giorno di febbraio dell’anno successivo (28.02.2022) presenta richiesta di riduzione del tasso medio di tariffa a INAIL.
  3. Entro 120 giorni dalla presentazione della domanda INAIL fornisce riscontro di accettazione o meno della domanda.
  4. Entro il 31 dicembre (del 2022) INAIL comunica il nuovo tasso di tariffa.
  5. Il datore di lavoro applica il nuovo tasso di tariffa in fase di autoliquidazione entro il 16 febbraio successivo (2023).

Allora sei in ritardo?

Vuoi capire se sei pronto per presentare la domanda di sconto INAIL entro febbraio 2022 o se, invece, è il caso che inizi a metterti all’opera per riuscire a sfruttare l’opportunità a partire dal nuovo anno? Sono qui proprio per questo.

Attenzione al corso “breve” dell’RSPP datore di lavoro

la formazione per gli RSPP datori di lavoro è di più facile gestione, ma si basa sul requisito essenziale che chi svolge la funzione di RSPP sia anche il datore di lavoro dell'impresa.

Si parla di RSPP datore di lavoro nei casi in cui il titolare dell’impresa decide di svolgere direttamente il ruolo di Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione. Capita spesso nelle imprese di dimensioni contenute in cui il datore di lavoro è attivo nella gestione dell’attività e anche negli aspetti operativi. A volte è una strategia per contenere i costi di consulenza, altre volte frutto del desiderio di controllare in prima persona l’attività senza doversi confrontare con figure esterne.

Il fatto che il corso per gli RSPP che sono datori di lavoro sia nettamente più breve rispetto al corso per i cosiddetti RSPP “esterni” sembra fare gola ad alcune piccole aziende che però, se non fanno attenzione, rischiano di ritrovarsi con una formazione non valida per il ruolo specifico.

La formazione “breve” del RSPP datore di lavoro

Il fatto che il corso per gli RSPP che sono datori di lavoro sia nettamente più breve rispetto al corso per i cosiddetti RSPP "esterni" sembra fare gola ad alcune piccole aziende che rischiano però poi di ritrovarsi con una formazione non valida per il ruolo specifico.

Il datore di lavoro che vuole svolgere l’incarico di RSPP deve frequentare un corso di formazione di 16, 32 o 48 ore a seconda della classe di rischio dell’attività (definita attraverso il codice ATECO), e un aggiornamento quinquennale rispettivamente di 6, 10 o 14 ore.

Il corso per gli RSPP che non sono datori di lavoro, invece, si articola in un modulo A di 28 ore, un modulo C di 24 ore e modulo B di durata compresa tra 60 e 64 ore a seconda del settore o dei settori per i quali si vuole ottenere la qualifica. A questo si aggiunge l’obbligo di formazione continua per cui, in ogni istante, l’RSPP “esterno” deve essere in grado di dimostrare di avere seguito nel quinquennio precedente almeno 40 ore di corsi di aggiornamento.

Quindi sì, la formazione per gli RSPP datori di lavoro è di più facile gestione, ma si basa sul requisito essenziale che chi svolge la funzione di RSPP sia anche il datore di lavoro dell’impresa.

Se non è corretto, è un rischio

Il fatto che il corso per gli RSPP che sono datori di lavoro sia nettamente più breve rispetto al corso per i cosiddetti RSPP "esterni" sembra fare gola alle piccole aziende con più soci.

La maggiore brevità del corso per RSPP datore di lavoro rispetto a quello in modulo A, B e C sembra fare gola alle piccole aziende in cui, oltre al titolare con responsabilità in materia di salute e sicurezza (datore di lavoro), sono presenti altri soci.

Capita cioè che un socio che non ricopre il ruolo di datore di lavoro venga nominato come RSPP e assolva l’obbligo di formazione partecipando al corso per RSPP datore di lavoro anziché al corso suddiviso in modulo A, B e C.

Questa pratica è diffusa, ma è scorretta!

L’eccezione e la verifica “salva tutto”

Ci sono casi di società con più soci con eguali poteri di rappresentanza e amministrazione della società: ciascun socio è di fatto datore di lavoro e, come tale, può ricoprire il ruolo di RSPP e seguire il corso per RSPP datore di lavoro. Ma questi casi sono pochi perché con più datori di lavoro si rischia che, in caso di violazioni in materia di salute e sicurezza, le sanzioni si moltiplichino, perché ciascun socio/ datore di lavoro è passibile di sanzione.

Ci sono casi di società con più soci con eguali poteri di rappresentanze e amministrazione della società: ciascun socio è di fatto datore di lavoro e, come tale, può ricoprire il ruolo di RSPP e seguire il corso per RSPP datore di lavoro.

Senza entrare nel dettaglio delle forme giuridiche, il modo migliore per verificare la situazione e capire se si stanno effettuando scelte attente è quella di seguire questi passi:

  1. verificare, magari con il supporto del proprio commercialista, se esista un’effettiva differenza di poteri di rappresentanza e amministrazione dell’impresa tra i soci;
  2. se la differenza esiste, chi si qualifica come datore di lavoro svolge anche l’incarico di RSPP e si fa il corso “breve”, oppure un socio lavoratore viene nominato Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione dal socio- datore di lavoro e segue il corso suddiviso in moduli A, B e C;
  3. se la differenza non esiste, prima di pensare all’incarico e alla formazione da RSPP, può valere la pena di formalizzare una delega come datore di lavoro a uno solo dei soci, e poi decidere il da farsi come per il punto 2. Se, invece, non si vogliono modificare gli aspetti di responsabilità, allora si tratta di capire quale socio vuole svolgere l’incarico di RSPP. A quel punto può seguire il corso “breve” senza rischi di contestazione della sua validità.

Tutto chiaro?

L’RLS si nomina o si elegge?

I lavoratori hanno il diritto di eleggere l'RLS e il datore di lavoro nomina una figura equivalente solo se non lo fanno. Tranne eccezioni...

La logica di fondo è che i lavoratori hanno il diritto di eleggere un proprio rappresentante e che il datore di lavoro può ricorrere alla nomina di una figura equivalente istituita a livello territoriale solo nel caso in cui i lavoratori decidano di non esercitare il loro diritto. Come sempre, però, ci sono eccezioni e dettagli a cui prestare attenzione: quindi vediamo di fare il punto della situazione per quelli che riguardano la figura del rappresentate dei lavoratori per la sicurezza (RLS) .

Le regole generali

Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza deve essere presente in ogni azienda o sito produttivo e, in funzione del numero complessivo di lavoratori, aumenta il numero minimo di RLS da individuare:

  1. 1 rappresentante nelle aziende o unità produttive sino a 200 lavoratori;
  2. 3 rappresentanti nelle aziende o unità produttive da 201 a 1.000 lavoratori;
  3. almeno 6 rappresentanti in tutte le altre aziende o unità produttive oltre i 1.000 lavoratori (il numero minimo effettivo viene definito mediante accordi interconfederali o la contrattazione collettiva).
Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza deve essere presente in ogni azienda o sito produttivo e, in funzione del numero complessivo di lavoratori, aumenta il numero minimo di RLS da individuare.

La dimensione aziendale influisce anche sui soggetti eleggibili:

  • per le aziende fino a 15 lavoratori, l’elezione avviene tra i lavoratori;
  • per le aziende con più di 15 lavoratori, l’elezione avviene in via prioritaria nell’ambito delle rappresentanze sindacali interne e, solo in assenza di queste ultime, considerando tutti i lavoratori.

Nel caso in cui i lavoratori non esercitino il loro diritto a eleggere il proprio rappresentante (o i propri rappresentanti), allora le funzioni del RLS sono svolte dal rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale (RLST), che viene individuato e formato dagli organismi paritetici competenti per comparto e territorio. Questo significa che il datore di lavoro, in caso i lavoratori non abbiano eletto un numero adeguato di RLS, dovrà contattare l’organismo paritetico di riferimento, per comparto e territorio, e richiedere i nominativi degli RLST, provvedendo alla nomina dei soggetti necessari per la propria impresa.

Il datore di lavoro, in caso i lavoratori non abbiano eletto un numero adeguato di RLS, dovrà contattare l'organismo paritetico di riferimento, per comparto e territorio, e richiedere i nominativi degli RLST, provvedendo alla nomina dei soggetti necessari per la propria impresa.

Durata dell’incarico e altri dettagli

Il ruolo di RLS ha una scadenza che è indicata nei contratti collettivi nazionali di riferimento: tipicamente è triennale, ma è sempre buona cosa verificare il CCNL di riferimento.

Il CCNL deve essere verificato anche in relazione al numero minino di RLS in funzione della dimensione dell’azienda o del sito produttivo, alle modalità di elezione, al tempo di lavoro retribuito e agli strumenti per l’espletamento delle funzioni.

L’eccezione del RLS di sito produttivo

In alcuni contesti produttivi caratterizzati dalla compresenza di più aziende o cantieri, è prevista l’elezione di un RLS di sito produttivo: viene individuato tra gli RLS delle aziende operanti nel sito produttivo e su loro stessa iniziativa, e svolge una funzione di coordinamento tra gli RLS presenti.

Quali sono questi contesti produttivi specifici? Quelli elencati all’art. 49, comma 1, D. L.vo 81/08 e ss.mm.ii.:

  • i porti;
  • i centri intermodali di trasporto;
  • gli impianti siderurgici;
  • i cantieri di entità presunta di almeno 30.000 uomini-giorno;
  • contesti produttivi con complesse problematiche legate alla interferenza delle lavorazioni e da un numero complessivo di addetti mediamente operanti nell’area superiore a 500.
In alcuni contesti produttivi caratterizzati dalla compresenza di più aziende o cantieri, è prevista l'elezione di un RLS di sito produttivo.

L’RLS, quindi, si nomina o si elegge a seconda del contesto specifico che si sta considerando.

Che cos’è il tecnostress e come gestirlo

Inserire il tecnostress nella propria lista di rischi lavorativi è il primo passo per poter individuare strategie per sfruttare i benefici della tecnologia e minimizzarne gli effetti negativi sulle persone e, quindi, sull'ambiente di lavoro.

La tecnologia è utile: pratica, rapida ed efficiente. Ma è anche fonte di stress in ambito lavorativo. Il problema non è tanto connesso alla difficoltà di utilizzo, comunque da non sottovalutare da parte di alcune fasce di lavoratori, quanto alla risposta che l’individuo mette in atto nel momento in cui si trova a dover gestire i continui e abbondanti flussi informativi veicolati dalle nuove tecnologie. Inserire il tecnostress nella propria lista di rischi lavorativi è il primo passo per individuare strategie per sfruttare i benefici della tecnologia e minimizzarne gli effetti negativi sulle persone e, quindi, sull’ambiente di lavoro.

Che cosa si intende per tecnostress

La tecnologia è uno strumento importante del lavoro moderno, direi irrinunciabile. Le sue caratteristiche tendono però a indurre comportamenti che possono portare a disturbi psicofisici.

La tecnologia è uno strumento importante del lavoro moderno, direi irrinunciabile. Le sue caratteristiche favoriscono però lo sviluppo di comportamenti che possono portare a disturbi psicofisici e questi disturbi possono cronicizzarsi e compromettere lo stato di benessere dell’individuo.

Sono quattro le caratteristiche della tecnologia capaci di indurre effetti negativi nel lungo periodo:

  1. il flusso continuo di informazioni che si scontra con l’esigenza di recupero dell’organismo;
  2. la rapidità degli scambi informativi che non è sempre commisurata alle capacità fisiologiche;
  3. la molteplicità dei canali a disposizione che frammenta l’attenzione o la rimbalza in più direzioni;
  4. l’integrazione dei canali che rende potenzialmente infinita la connessione e lo scambio.
Ansia, ipertensione, insonnia, calo della concentrazione, disturbi gastrointestinali e cardiocircolatori, disturbi dell’alimentazione, alterazioni comportamentali, disturbi della sfera sessuale e relazionale sono i sintomi che gli studi hanno associato al tecnostress.

Ansia, ipertensione, insonnia, calo della concentrazione, disturbi gastrointestinali e cardiocircolatori, disturbi dell’alimentazione, alterazioni comportamentali, disturbi della sfera sessuale e relazionale sono i sintomi che gli studi hanno associato al tecnostress. E questi sintomi si risolvono in una diminuzione della qualità della vita e, in ambito lavorativo, nel calo della produttività e nell’aumento del rischio di incidenti e infortuni.

Il fattore personale

Non sono solo le caratteristiche del lavoro e della tecnologia a determinare la probabilità e l’entità delle eventuali conseguenze negative del tecnostress, le caratteristiche individuali contribuiscono all’esito.

Il grado di comfort nell’utilizzo della tecnologia cambia a seconda che gli strumenti tecnologici siano percepiti come facilitatori e siano fonte di curiosità o, al contrario, siano considerati un’imposizione e siano vissuti con diffidenza; inoltre la risposta individuale agli stimoli rende una stessa situazione lavorativa più o meno sostenibile e tollerabile.

Anche le abitudini extra lavorative possono aumentare o diminuire la capacità di fronteggiare la condizione di stress e il livello di consapevolezza di ciascuno in merito alle strategie operative da mettere in campo per non farsi sopraffare dai flussi informativi varia da persona a persona.

Non sono solo le caratteristiche del lavoro e della tecnologia a determinare la probabilità e l'entità delle eventuali conseguenze negative del tecnostress, le caratteristiche individuali contribuiscono all'esito.

Misure di prevenzione e protezione

La variabilità individuale nell’esposizione allo stress indotto dalle tecnologie moderne non è però una giustificazione adeguata per lasciare in carico al singolo lavoratore la gestione del problema.

Il tecnostress deve infatti rientrare nella valutazione dei rischi relativamente a ogni specifico ambiente di lavoro e il datore di lavoro, con l’aiuto del servizio di prevenzione e protezione, deve individuare le adeguate misure di gestione.

Uno schema di ragionamento operativo prevede di ragionare su tre livelli di intervento successivi: prevenzione primaria, prevenzione secondaria e protezione.

La prevenzione primaria interviene sulla progettazione del lavoro e sullo sviluppo organizzativo, comprendendo politiche di lavoro che rispettino la vita privata dei lavoratori, il diritto alle pause di lavoro e incentivino comportamenti virtuosi (ex. pause caffè senza smartphone, utilizzo di dispositivi elettronici diversi per lavoro e vita privata).

La prevenzione secondaria si concentra sulla formazione dei lavoratori per renderli consapevoli delle pratiche poco salutari o dannose e delle tecniche psico-fisiche di gestione dello stress.

La protezione, infine, agisce sui sintomi con l’obiettivo di ridurli, favorendo la partecipazione a programmi di counseling e di assistenza personalizzati.

Il punto di partenza per una gestione efficace del tecnostress è però riconoscerne lo status di rischio lavorativo al pari di rischi che ci sono ormai più familiari.

Il punto di partenza per una gestione efficace del tecnostress è però riconoscerne lo status di rischio lavorativo al pari di rischi che ci sono ormai più familiari. Questo significa accettare almeno due idee:

  1. che la prevenzione sul lavoro sta assumendo sempre più un approccio globale rispetto alla salute del lavoratore;
  2. che l’uso lavorativo di strumenti quotidiani non riduce l’onere di prevenzione in capo al datore di lavoro.

Legionella e salute e sicurezza sul lavoro

Il rischio da legionella riguarda qualunque attività che utilizzi impianti tecnologici con riscaldamento e nebulizzazione di acqua.

Il “rischio legionella” è un rischio biologico connesso ai batteri del genere Legionella, che causano malattie in forma di polmoniti o simil-influenze, chiamate genericamente legionellosi. Si tratta di un rischio spesso sottovalutato al di fuori degli ambiti turistici, sanitari e di benessere, ma che richiede invece attenzione e uno spazio adeguato nel documento di valutazione dei rischi. Il rischio legionella, infatti, può riguardare qualunque attività che utilizzi impianti tecnologici che comportano un riscaldamento dell’acqua e/o la sua nebulizzazione.

Si tratta di un aspetto ancora più delicato in questo periodo, in cui la sospensione o la drastica riduzione nella frequenza di utilizzo e nella gestione di molti edifici o di parti di essi a causa della pandemia COVID-19 (ex. luoghi di lavoro, scuole, università, alberghi, attività di ristorazione, centri sportivi e commerciali, strutture turistico-recettive, ricreative ed espositive) può favorire la crescita della legionella negli impianti idrici e nei dispositivi associati, con un aumento del rischio.

Dove vive e come si trasmette la legionella

Le legionelle sono presenti negli ambienti acquatici naturali: acque sorgive, termali, fiumi, laghi, fanghi… Da questi ambienti raggiungono quelli artificiali, come condotte cittadine e impianti idrici degli edifici, serbatoi, tubature, fontane e piscine.

Le legionelle sono presenti negli ambienti acquatici naturali. Da questi ambienti raggiungono quelli artificiali.

La legionella viene normalmente acquisita per via respiratoria mediante inalazione o aspirazione di aerosol o di particelle derivate per essiccamento; sono stati inoltre segnalati casi di legionellosi acquisita attraverso ferite, mentre non è mai stata dimostrata la trasmissione interumana.

Il rischio di sviluppare la malattia dipende dalla suscettibilità del soggetto esposto (età avanzata, fumo di sigaretta, presenza di malattie croniche e immunodeficienza sono fattori predisponenti) e dall’intensità dell’esposizione. Solo la malattia in forma di polmonite richiede un trattamento antibiotico per un decorso favorevole.

Situazioni e luoghi di esposizione alla legionella

Le situazioni note che possono originare casi di legionellosi comprendono:

  • l’aerodispersione prodotta da torri di raffreddamento, condensatori evaporativi e sezioni di umidificazione delle unità di trattamento dell’aria;
  • impianti di acqua potabile, apparecchi sanitari, fontane e umidificatori ultrasonici;
  • piscine, vasche idromassaggio o fontane decorative, anche esposte a soli fini dimostrativi;
  • terricci o composti per giardinaggio;
  • impianti idrici di poltrone odontoiatriche.
Le situazioni note che possono originare casi di legionellosi comprendono sistemi generanti aerosol come piscine, vasche idromassaggio o fontane decorative, anche esposte a soli fini dimostrativi.

In termini di luoghi od occasioni di infezione si parla di:

  • siti industriali;
  • centri commerciali;
  • ristoranti;
  • centri sportivi e centri benessere;
  • residenze private;
  • alberghi;
  • navi;
  • campeggi;
  • club;
  • ospedali
  • utilizzo di dispositivi medici.

La lista non è esaustiva ma solo indicativa dell’ampio ventaglio di ambienti interessati dal rischio.

Valutazione del rischio e misure di prevenzione e protezione

La prevenzione delle infezioni da legionella si basa:

  1. sulla corretta progettazione e realizzazione degli impianti tecnologici a rischio, cioè che comportano un riscaldamento dell’acqua e/o la sua nebulizzazione (come gli impianti idro-sanitari, di condizionamento con umidificazione dell’aria ad acqua, di raffreddamento a torri evaporative o a condensatori evaporativi, gli impianti che distribuiscono ed erogano acque termali, le piscine e le vasche idromassaggio);
  2. sull’adozione di misure preventive in grado di contrastare la moltiplicazione e la diffusione di legionella negli impianti a rischio. E si parla di manutenzione e, all’occorrenza, disinfezione, oltre che delle necessarie attività di informazione e formazione del personale interessato.
Il rischio "legionella" deve essere valutato caso per caso nell'ambito del documento di valutazione dei rischi, definendo gli interventi manutentivi e/o di disinfezione e prevedendo la modalità della loro registrazione.

Si tratta quindi di un rischio che deve essere valutato caso per caso, nell’ambito del documento di valutazione dei rischi, definendo gli interventi manutentivi e/o di disinfezione e prevedendone la modalità di registrazione.

Frequenza di aggiornamento della valutazione

In quanto rischio biologico, la valutazione del “rischio legionella” richiede un aggiornamento triennale, con tre eccezioni:

  1. per le strutture turistico- ricettive la frequenza di aggiornamento è almeno biennale (preferibilmente annuale);
  2. per gli stabilimenti termali e le strutture sanitarie l’aggiornamento è annuale.

Un utile strumento per predisporre una valutazione dei rischi adeguata e specifica sono le “Linee guida per la prevenzione ed il controllo della legionellosi” pubblicate nel 2015 da un gruppo di lavoro di Ministero della Salute e Istituto Superiore di Sanità.

La verifica dell’idoneità tecnico professionale

se le attività affidate a terzi sono svolte in un luogo rispetto al quale il datore di lavoro ha una titolarità di occupazione e di utilizzo, che sia un titolo di proprietà, di affitto o di comodato d'uso, il datore di lavoro deve procedere alla verifica dell'idoneità tecnico professionale.

La verifica dell’idoneità tecnico professionale è un’attività che deve essere svolta dal datore di lavoro quando affida l’esecuzione di lavori, l’erogazione di servizi o attività di fornitura a un’impresa o a un lavoratore autonomo all’interno della propria azienda o di una sua unità produttiva o del suo ciclo produttivo, se le attività affidate si svolgono in un luogo rispetto al quale il datore di lavoro ha la disponibilità giuridica. Quindi se le attività affidate a terzi sono svolte in un luogo rispetto al quale il datore di lavoro ha una titolarità di occupazione e di utilizzo, che sia un titolo di proprietà, di affitto o di comodato d’uso, il datore di lavoro deve procedere alla verifica.

Nel caso dei cantieri, la verifica è in carico al committente o al responsabile dei lavori e al datore di lavoro dell’impresa affidataria (quini della titolare del contratto diretto con il committente).

A che cosa serve la verifica dell’idoneità tecnico professionale?

La finalità della verifica dell’idoneità tecnico professionale è quella di avere un certo grado di fiducia nel fatto che le attività saranno affidate a soggetti capaci di svolgerle, nel rispetto delle condizioni di legalità e di sicurezza.

La finalità della verifica dell'idoneità tecnico professionale è quella di avere un certo grado di fiducia nel fatto che le attività saranno affidate a soggetti capaci di svolgerle, nel rispetto delle condizioni di legalità e di sicurezza.

Questo vuol dire che la verifica non è solo una formalità, ma un momento in cui il datore di lavoro può valutare se il proprio fornitore è in grado, almeno sulla carta, di eseguire l’attività che gli vuole affidare.

Come si effettua la verifica?

Ci sono due strade alternative, ma molto simili, da percorrere. La scelta tra le due dipende dall’ambito nel quale si stanno affidando le attività a terzi.

Se si opera in un cantiere (temporaneo e/o mobile) si richiedono i documenti previsti dall’Allegato XVII del Testo Unico Sicurezza, che sono diversi a seconda che si tratti di verificare l’idoneità tecnico- professionale di un’impresa o di un lavoratore autonomo.

Se si opera in un cantiere la verifica dell'idoneità tecnico professionale viene effettuata richiedendo i documenti previsti dall'Allegato XVII del Testo Unico Sicurezza.

Alle imprese si richiedono questi documenti:

  1. visura camerale in corso di validità con oggetto sociale inerente alla tipologia dell’appalto;
  2. documento di valutazione dei rischi;
  3. DURC (documento unico di regolarità contributiva) in corso di validità;
  4. dichiarazione di non essere oggetto di provvedimenti di sospensione o interdittivi di cui all’articolo 14 del D. L.vo 81/08.

Ai lavoratori autonomi si richiedono questi altri documenti:

  1. visura camerale in corso di validità con oggetto sociale inerente alla tipologia dell’appalto;
  2. documentazione che attestati la conformità di macchine, attrezzature e opere provvisionali alle disposizioni del D. L.vo 81/08 (ex. dichiarazioni di conformità CE, verbali di verifica periodica);
  3. elenco dei DPI in dotazione;
  4. attestati inerenti la formazione e certificato di idoneità sanitaria, se espressamente previsti dal D. L.vo 81/08;
  5. DURC in corso di validità.

Nei cantieri di durata presunta inferiore a 200 uomini-giorno e i cui lavori non comportano rischi particolari (individuati all’Allegato XI del Testo Unico Sicurezza), sia le imprese sia i lavoratori autonomi possono comprovare la propria idoneità tecnico professionale presentando solo:

  • certificato di iscrizione alla Camera di commercio;
  • DURC;
  • autocertificazione per gli altri documenti.
Al di fuori dei cantieri, la verifica dell'idoneità tecnico professionale si basa su certificato camerale e autocertificazione ai sensi del DPR 445.

Se non si opera nell’ambito di un cantiere, il datore di di lavoro deve richiede all’impresa o al lavoratore autonomo a cui ha affidato le attività:

  1. copia del certificato di iscrizione alla camera di commercio, industria e artigianato;
  2. autocertificazione del possesso dei requisiti di idoneità tecnico professionale, ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. 445/2000.

Attenzione! L’autocertificazione non è una semplice dichiarazione, anche se la differenza sta più che altro nei riferimenti al DPR 445 e alla sua forma. La differenza però è notevole perché l’autocertificazione consente, a chi la redige, di presentare una dichiarazione firmata invece di dover produrre documenti ufficiali o certificazioni, ma, in caso di dichiarazioni false, il dichiarante rischia sanzioni penali e la perdita dell’affidamento delle attività.

Il fatto che la normativa parli di obbligo in carico al datore di lavoro non significa che debba essere lui in prima persona a dover richiedere la documentazione e a verificarne la correttezza e la completezza, ma che la responsabilità della verifica è a suo carico.

Chi deve effettuare la verifica?

Un ultimo dettaglio: il fatto che la normativa parli di obbligo in carico al datore di lavoro (committente o responsabile dei lavori per i cantieri) non significa che debba essere lui in prima persona a dover richiedere la documentazione e a verificarne la correttezza e la completezza, ma che la responsabilità della verifica è a suo carico. Quindi, in caso di mancata esecuzione della verifica o dell’affidamento delle attività nonostante l’assenza dei requisiti necessari, la sanzione è a suo carico. E si parla di arresto da 2 a 4 mesi o ammenda da € 1.228,50 a € 5.896,84.

Quanti addetti alla gestione emergenze?

Quanti addetti alla gestione emergenze devono essere presenti in azienda? Ecco alcuni criteri per individuarne il numero adeguato.

Quanti addetti alla gestione emergenze devono essere presenti in azienda? Quanti addetti al primo soccorso e quanti addetti all’antincendio? “Un numero adeguato!” è l’unica risposta possibile, ma ecco alcuni criteri che il datore di lavoro può utilizzare per valutare in modo concreto quanti addetti alla gestione emergenze formare e nominare.

Quali sono i vincoli di legge

I riferimenti sono il testo unico sicurezza (D. L.vo 81/08 e ss.mm.ii.), il DM 10 marzo 1998 per l’antincendio e il Decreto 388/03 per il primo soccorso. Sommando le previsioni delle tre norme si può concludere che il datore di lavoro deve nominare almeno un addetto alla gestione delle emergenze, ma che il numero effettivo dipende

  1. dalle dimensioni dell’azienda;
  2. dai rischi specifici dell’azienda o dell’unità produttiva.

Bisogna ricordare poi che formazione e nomina per la gestione dell’antincendio e quella per il primo soccorso sono due attività distinte, e una delle variabili da definire è se chi svolge il primo tipo di incarico debba o possa svolgere anche il secondo.

Criteri per definire il numero di addetti alla gestione emergenze

Il datore di lavoro deve nominare almeno un addetto alla gestione emergenze, ma il numero effettivo dipende dalle caratteristiche dell'organizzazione e dall'entità dei suoi rischi.

Per cercare di guadagnare in concretezza, ecco un elenco di aspetti da prendere in considerazione per valutare quale possa essere il numero adeguato di addetti alla gestione emergenze di una determinata azienda e se chi svolge un incarico di primo soccorso debba o meno svolgere anche l’incarico di addetto antincendio:

  1. numero di sedi di lavoro e numero di lavoratori per ogni sede;
  2. numero di turni di lavoro e numero di addetti per turno;
  3. caratteristiche delle mansioni lavorative, per cui vi può essere una distinzione tra lavoratori con postazione di lavoro fissa (che quindi possono presidiare un determinato ambiente) e lavoratori con funzione di corriere, oppure mansioni che richiedono la manipolazione di sostanze pericolose e altri che non presentano tale rischio;
  4. possibilità di assenza dei lavoratori incaricati della gestione emergenze ed eventualità di individuare quindi dei sostituti;
  5. possibilità di lavoro isolato e necessità di autosoccorso;
  6. entità del rischio incendio nei diversi ambienti di lavoro e del rischio di infortunio in funzione delle fasi produttive;
  7. gravità degli scenari di emergenza prevedibili e modalità di gestione definita;
  8. possibilità che si sommino emergenze diverse con la necessità di intervento in contemporanea per emergenza di primo soccorso e di antincendio;
  9. rischio aggiuntivo di infortunio per gli addetti all’antincendio con la necessità di prevedere la presenza di personale formato per soccorrerli.
Formazione e nomina per la gestione dell'antincendio e quella per il primo soccorso sono due attività distinte, e una delle variabili da definire è se chi svolge il primo tipo di incarico debba o possa svolgere anche il secondo.

Possono esserci troppi addetti alla gestione delle emergenze?

Il problema dell’adeguatezza del numero non riguarda solo il caso in cui gli addetti alla gestione emergenze siano sottostimati ma anche nel caso opposto. Il problema si pone sul piano pratico se non è stata definita in modo chiaro una gerarchia di responsabilità e un ordine di priorità di intervento, con il rischio di aumentare la confusione nelle fasi già critiche dell’emergenza o di ritardare i tempi di intervento.