Autorizzazione sistemi di videosorveglianza e satellitari

L’art. 4, comma 1 dello Statuto dei lavoratori prevede che gli impianti audiovisivi o altri strumenti da cui possa derivare “la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori” possono essere impiegati esclusivamente previa autorizzazione o accordo sindacale.

Telecamere nella sede aziendale per proteggere il patrimonio dell’impresa e GPS installati sui mezzi per prevenirne il furto, per proteggere il personale che svolge lavori isolati o a rischio rapina, oppure per questioni logistiche. A volte sono i clienti, soprattutto le stazioni appaltanti, a premiare chi ha dotato il proprio parco mezzi di un sistema satellitare. Quindi viene naturale pensare che non serva alcuna autorizzazione dei sistemi di videosorveglianza (impianti audiovisivi) e satellitari. In realtà bisogna verificare una condizione, ossia la presenza o meno di lavoratori in azienda: nel caso sia presente anche un solo lavoratore, per installare telecamere e GPS, il titolare dell’impresa deve ottenere specifica autorizzazione prima della loro installazione.

A chi richiedere l’autorizzazione?

Le strade percorribili sono due.

  1. La sottoscrizione di un accordo sindacale. Questa strada è percorribile se sono presenti rappresentanze sindacali aziendali (RSA) o unitarie (RSU), oppure facendo riferimento alle rappresentanze sindacali territoriali (tra le più rappresentative a livello nazionale).
  2. La presentazione di una domanda di autorizzazione alla sede territorialmente competente dell’Ispettorato del lavoro, invece, è percorribile nel caso in cui
    non siano stati eletti RSA o RSU;
    – sia stato sottoscritto un verbale di mancato accordo con le rappresentanze sindacali (anche quelle territoriali) in relazione all’utilizzo dell’impianto di localizzazione satellitare e/o delle apparecchiature di videosorveglianza.
Nel caso sia presente anche un solo lavoratore, il titolare dell’impresa deve ottenere specifica autorizzazione all'installazione di sistemi di videosorveglianza e satellitari, prima della loro installazione.

Come funziona l’iter autorizzativo?

Accordo sindacale

L’accordo sindacale altro non è che un documento scritto nel quale vengono dettagliate le condizioni alle quali il titolare dell’impresa e le rappresentanze sindacali hanno convenuto che le attrezzature di videosorveglianza e satellitari potranno essere utilizzate al fine di consentire il raggiungimento degli obiettivi di tutela del patrimonio, di organizzazione logistica o di sicurezza dei lavoratori, senza costituire una possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori e garantendo la tutela dei dati personali.

La tempistica richiesta per giungere all’accordo dipende dalla complessità del sistema da autorizzare e dalla complessità della trattativa.

Dato che l’accordo non è obbligatorio, ossia una delle due parti potrebbe non ritenere accettabili le condizioni imposte dalla controparte, la trattativa potrebbe concludersi senza nulla di fatto, imponendo di procederecon la richiesta di autorizzazione all’Ispettorato del lavoro.

L'accordo sindacale altro non è che un documento scritto nel quale vengono dettagliate le condizioni alle quali il titolare dell'impresa e le rappresentanze sindacali hanno convenuto che le attrezzature di videosorveglianza e satellitari potranno essere utilizzate.

La domanda all’Ispettorato del lavoro

Il titolare dell’impresa deve procedere alla predisposizione di specifica modulistica, scaricabile dal sito dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, che comprende

  • modulo d’istanza di autorizzazione all’installazione (a cui bisogna applicare n. 1 marca da bollo da € 16,00);
  • autocertificazione di dichiarazione sostitutiva per marca da bollo (a cui bisogna applicare n.2 marche da bollo da € 16,00).

Inoltre l’impresa deve predisporre una relazione di dettaglio che illustri le ragioni dell’installazione e le modalità di funzionamento.

Le tempistiche di rilascio dell’autorizzazione variano a seconda della sede territoriale di riferimento e l’Ispettorato può procedere all’esecuzione di un sopralluogo a sorpresa per verificare quanto dichiarato nella domanda e che la tecnologia non sia già stata installata. La sola installazione e/o la messa in esercizio dei sistemi prima del rilascio dell’autorizzazione comporta infatti l’applicazione delle sanzioni penali previste dall’art. 38 dello Statuto dei lavoratori (L. 300/1970) :

  • ammenda da € 154 a € 1.549 o arresto da 15 giorni a 1 anno;
  • nei casi più gravi (ex. l’installazione degli impianti a totale insaputa del lavoratore; l’installazione di telecamere fisse che inquadrino esclusivamente l’attività svolta dai lavoratori o i luoghi di pausa o di mensa; l’assenza di esigenze organizzative, produttive, di sicurezza del lavoro e di tutela del patrimonio aziendale che giustifichino l’installazione degli impianti) le pene dell’arresto e dell’ammenda sono applicate congiuntamente;
  • quando, per le condizioni economiche del titolare dell’impresa, l’ammenda sopra riportata si presume inefficace anche se applicata nel massimo, il giudice ha facoltà di aumentarla fino al quintuplo.
La presentazione di una domanda di autorizzazione alla sede territorialmente competente dell'Ispettorato del lavoro è percorribile nel caso in cui non siano stati eletti RSA o RSU o sia stato sottoscritto un verbale di mancato accordo con le rappresentanze sindacali (anche quelle territoriali).

Perché bisogna richiedere l’autorizzazione?

Perché l’art. 4, comma 1 dello Statuto dei lavoratori prevede che gli impianti audiovisivi o altri strumenti da cui possa derivare “la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori” possono essere impiegati esclusivamente:

  • se rispondono a “esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale“;
  • previo accordo sindacale o autorizzazione da parte dell’Ispettorato del lavoro, antecedenti la loro installazione.

Quanto dura l’autorizzazione?

L’art. 4, comma 1 dello Statuto dei lavoratori stabilisce che i provvedimenti autorizzativi sono definitivi, tuttavia la prassi operativa (i modelli autorizzativi dell’Ispettorato del lavoro e la formulazione degli accordi sindacali) prevedono la necessità di dare comunicazione e quindi di richiedere autorizzazione per modifiche rilevanti dei sistemi già autorizzati.

Oltre al  possesso dell'autorizzazione, il titolare dell'impresa deve essere in grado di dimostrare di aver adeguatamente informato i lavoratori sul funzionamento dei sistemi installati e sull'esecuzione dei controlli e di trattare i dati raccolti mediante i sistemi di videosorveglianza e satellitari nel rispetto dei requisti di privacy.

Serve “solo” l’autorizzazione?

Non proprio. Sempre l’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, al comma 3, precisa anche che le informazioni raccolte mediante i sistemi di videosorveglianza e satellitari “sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196“, quindi, oltre al possesso dell’autorizzazione, il titolare dell’impresa deve essere in grado di dimostrare:

  1. di aver adeguatamente informato i lavoratori sul funzionamento dei sistemi installati e sull’esecuzione dei controlli;
  2. di trattare i dati raccolti mediante i sistemi di videosorveglianza e satellitari nel rispetto dei requisti di privacy.

Segnaletica stradale: le novità della formazione

Il 13 febbraio 2019 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Decreto interministeriale del 22 gennaio 2019, contenente i "criteri generali di sicurezza relativi alle procedure di revisione, integrazione e apposizione della segnaletica stradale destinata alle attività lavorative che si svolgono in presenza di traffico veicolare".

Il 13 febbraio 2019 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Decreto interministeriale del 22 gennaio 2019, contenente i “criteri generali di sicurezza relativi alle procedure di revisione, integrazione e apposizione della segnaletica stradale destinata alle attività lavorative che si svolgono in presenza di traffico veicolare“.

Entrato in vigore a marzo, a trenta giorni dalla pubblicazione, ha abrogato il Decreto interministeriale del 4 marzo 2013 di cui ha però mantenuto l’impianto:

  1. l’allegato 1 definisce i criteri minimi di sicurezza per la posa, il mantenimento e la rimozione della segnaletica di delimitazione e di segnalazione delle attività lavorative che si svolgono in presenza di traffico veicolare;
  2. l’art.3 prevede che i datori di lavoro assicurino che gli addetti all’attività di apposizione, integrazione e rimozione della segnaletica ricevano una informazione, formazione e addestramento specifici;
  3. l’allegato 2 disciplina la formazione, individuando i soggetti formatori, i requisiti dei docenti, i criteri di organizzazione dei percorsi formativi e i relativi articolazione, contenuti, metodologie didattiche e valutazione e verifica dell’apprendimento;
  4. l’art. 4 fornisce dettagli in merito ai requisiti dei dispositivi di protezione individuale, dei veicoli operativi e della segnaletica della zona di intervento (rinviando al decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 10 luglio 2002).
L'allegato 2 del decreto 22.01.19 disciplina la formazione, individuando i soggetti formatori, i requisiti dei docenti, i criteri di organizzazione dei percorsi formativi e i relativi articolazione, contenuti, metodologie didattiche e valutazione e verifica dell'apprendimento.

Le novità della formazione sulla segnaletica stradale

Di seguito una tabella riassuntiva delle principali differenze in merito alla disciplina della formazione prevista dai due decreti.

una tabella riassuntiva delle principali differenze in merito alla disciplina della formazione prevista dai due decreti 2013 e 2019.

Interpello n. 5/2019: validità e aggiornamento della formazione precedente

L'assenza all'interno del decreto del 22.01.2019 di riferimenti alla formazione pregressa e di indicazioni in merito alla scadenza della "vecchia" formazione rispetto alle indicazioni contenute nel decreto del gennaio 2019 ha portato in una fase iniziale a orientamenti differenti da parte dei soggetti formatori.

L’assenza all’interno del nuovo decreto di riferimenti alla formazione pregressa e di indicazioni in merito alla scadenza della “vecchia” formazione rispetto alle indicazioni contenute nel decreto del gennaio 2019 ha portato in una fase iniziale a orientamenti differenti da parte dei soggetti formatori.

La questione si è però risolta in modo definitivo a luglio 2019 grazie all’Interpello n.5/2019 della Commissione per gli interpelli in materia di salute e sicurezza sul lavoro, che fornisce un riscontro a un quesito presentato dall’Associazione Nazionale Costruttori Edili (ANCE) sull’argomento.

La risposta della Commissione è chiara: “ gli attestati conseguiti precedentemente all’entrata in vigore del decreto interministeriale del 22 gennaio 2019 manterranno la loro validità fino alla scadenza prevista dalla previgente normativa“.

In sintesi:

  • la formazione erogata ai sensi del decreto del 4 marzo 2013 è valida e non richiede integrazioni/ adeguamenti al decreto del 22 gennaio 2019;
  • la sua scadenza resta però quadriennale e diverrà quinquennale solo a seguito di erogazione del corso di aggiornamento (che deve seguire le regole previste dal nuovo decreto).

Risorse gratuite

Il nuovo applicativo CIVA di INAIL: 5 consigli di utilizzo

Con l'applicativo CIVA INAIL ha dato il via alla gestione informatizzata delle pratiche relative a impianti e attrezzature. Eccoti 5 consigli di utilizzo.

Dal 27 maggio 2019 INAIL ha messo a disposizione l’applicativo CIVA per la gestione informatizzata di pratiche relative alla gestione di impianti e attrezzature, pagamenti compresi.

Le pratiche che si possono presentare e gestire attraverso CIVA sono :

  • la denuncia di impianti di messa a terra;
  • la denuncia di impianti di protezione da scariche atmosferiche;
  • la messa in servizio e immatricolazione di attrezzature di sollevamento;
  • il riconoscimento di idoneità dei ponti sollevatori per autoveicoli;
  • le prestazioni su attrezzature di sollevamento non marcate CE;
  • la messa in servizio e immatricolazione di ascensori e montacarichi da cantiere;
  • la messa in servizio e immatricolazione di apparecchi a pressione singoli e degli insiemi;
  • l’approvazione del progetto e verifica primo impianto di riscaldamento;
  • le prime verifiche periodiche.

La Circolare n.12 del 13 maggio 2019 ha dichiarato la sospensione della gestione delle pratiche con posta ordinaria o attraverso PEC, vincolando all’utilizzo dell’applicativo CIVA attraverso la sezione dei servizi online del sito dell’ente assicurativo.

Dal 27 maggio 2019 INAIL ha messo a disposizione l'applicativo CIVA per la gestione informatizzata di pratiche relative alla gestione di impianti e attrezzature, pagamenti compresi.

La combinazione tra la novità dell’applicativo e il grande numero di utenti ha determinato alcuni disservizi in fase di avvio e, ancora adesso, a distanza di 5 mesi dalla messa in funzione, si riscontrano anomalie operative che richiedono di abbandonare l’area riservata e di ricompilare pratiche che si pensava di avere completato. A questo si aggiunge che, nell’epoca delle app, le modalità di utilizzo di CIVA non sono del tutto intuitive. È però possibile migliorare l’esperienza di utilizzo seguendo qualche consiglio.

Consiglio n.1: fare riferimento al manuale utente

INAIL ha messo a disposizione un Manuale utente ben strutturato. Non è necessario leggerlo tutto d’un fiato ma è utile tenerlo sotto mano durante la compilazione della pratica, almeno le prime volte.

In questo modo, per esempio, si può scoprire come riuscire a visualizzare le pratiche presentate prima dell’entrata in esercizio dell’applicativo CIVA che non risultano associate automaticamente al profilo utente selezionato: il capitolo 16 del Manuale parla della funzione di richiesta di visualizzazione apparecchi/ pratiche, che risolve il problema.

INAIL ha messo a disposizione un Manuale utente dell'applicativo CIVA ben strutturato. Non è necessario leggerlo tutto d'un fiato ma è utile tenerlo sotto mano durante la compilazione della pratica, almeno le prime volte.

Consiglio n.2: verificare credenziali e profilo di accesso

Chi già accede all’area dei servizi online del sito INAIL non avrà difficoltà, ma è importante che selezioni il profilo corretto (per esempio, all’applicativo si accede come legale rappresentante e non come datore di lavoro). Inoltre è stata introdotta la figura del consulente per le attrezzature e impianti, che un’azienda potrebbe scegliere di sfruttare per delegare l’incarico di presentazione delle pratiche a uno specifico soggetto interno all’azienda. Infine, le modalità di accesso cambiano a seconda del soggetto che deve utilizzare CIVA. Quindi una verifica iniziale di credenziali e profilo di accesso (eventualmente scorrendo il capitolo 2 del Manuale utente) è un buon modo per evitare la frustrazione ancora prima della compilazione della prima pratica.

Consiglio n.3: avvisi di fuori servizio

Come tutti gli applicativi online, anche CIVA è soggetto a manutenzioni e verifiche, per cui capitano sospensioni programmate del servizio che vengono comunicate da INAIL sulla home page del suo sito. Se stai programmando il tuo lavoro e prevedi di dover utilizzare il portale, allora è il caso che verifichi che non ci siano giornate o fasce orarie di temporanea indisponibilità del servizio all’orizzonte.

L'esperienza racconta di connessioni internet altalenanti, misteriosi messaggi di errore o inspiegabili logout dai servizi online proprio dopo aver cliccato sul bottone di invio della pratica.

Consiglio n.4: lungimiranza

Il passaggio ai servizi informatizzati genera l’aspettativa dell’efficienza e della rapidità, per cui si pensa di poter procedere alla compilazione delle pratiche sotto scadenza, “tanto che cosa vuoi che succeda?“. L’esperienza racconta di connessioni internet altalenanti, misteriosi messaggi di errore o inspiegabili logout dai servizi online proprio dopo aver cliccato sul bottone di invio della pratica. Quindi sii lungimirante e procedi alla gestione della pratica con qualche giorno di margine sulle scadenze: se qualcosa andasse storto, avrai un altro paio di giorni per ritentare.

Consiglio n.5: organizzazione

Anche l’idea che CIVA offra il grande vantaggio di una visione sintetica di mezzi, attrezzature e pratiche in gestione da parte del singolo utente è fuorviante, soprattutto perché le pratiche vengono identificate attraverso numeri di protocollo irriconoscibili a colpo d’occhio, difficoltà che si presenta anche per distinguere le comunicazioni inviate dell’utente da quelle trasmesse da INAIL. Quindi sii ordinato e archivia la copia pdf delle ricevute create dall’applicativo CIVA in modo che sia immediato ricollegare i numeri di protocollo ai codici dell’attrezzatura o dell’impianto utilizzati in azienda. Inoltre creati uno scadenzario delle pratiche che stai gestendo che ti consenta di avere sempre chiaro a che punto del processo sei arrivato (ex. immatricolazione completata e prima verifica in scadenza tra un anno; in attesa di rilascio di matricola da INAIL).

Il modo migliore per imparare a utilizzare l'applicativo CIVA è quello di fare un po' di pratica.

A questo punto non ti resta che iniziare a fare un po’ di pratica.

Consenso e periodo di conservazione dei dati per attività di marketing

Il piano ispettivo del Garante della privacy per il secondo semestre 2019 prevede circa un centinaio di controlli ai soggetti pubblici e privati. tra questi le società per gli aspetti connessi alle attività di marketing. Per la verifica della compliance privacy bisogna verificare consenso e periodo di conservazione dei dati.

Il piano ispettivo del Garante della privacy per il secondo semestre 2019 prevede circa un centinaio di controlli ai soggetti pubblici e privati, con riferimento ad attività specifiche:

  • alle banche, in riferimento ai flussi verso l’anagrafe dei conti;
  • agli intermediari del servizio di fatturazione elettronica;
  • alle società, per attività di marketing;
  • agli enti pubblici, con riferimento a banche dati di notevoli dimensioni, per le attività di profilazione e fidelizzazione;
  • alle società del food delivery;
  • alla sanità privata.

Quattro gli aspetti oggetto di controllo:

  1. il periodo di conservazione dei dati;
  2. la regolarità di consensi e informative;
  3. i trattamenti collegati alla fatturazione elettronica;
  4. i dati trasmessi dalle banche all’anagrafe dei conti tenuta dal Fisco.

Consenso e periodo di conservazione dei dati per le attività di marketing: che cosa dice il GDPR?

Al fine di consentire una verifica della compliance in ambito privacy, concentriamoci su

  1. consenso;
  2. periodo di conservazione dei dati (che spesso induce a errori sostanziali nella modalità e in merito alla necessità).

Il consenso per le attività di marketing

Al fine di consentire una verifica della compliance in ambito privacy per le attività di privacy è necessario valutare in primo luogo i requisiti di consenso al trattamento.

Marketing diretto (in assenza di intermediari)

  • La tutela dei dati personali degli utenti è rappresentata dal consenso che non può essere mai proposto con caselle già contrassegnate e non può costituire condizione legata all’ottenimento del servizio principale.
  • Non è lecito ricorrere a dati estratti da registri pubblici, elenchi, siti web, atti o documenti pubblici.
  • L’interessato ha il diritto di opporsi in qualsiasi momento al trattamento dei suoi dati a fini di marketing, pur avendo originariamente manifestato il consenso.
  • Non è necessario chiedere consensi distinti per ogni canale comunicativo; un consenso rilasciato per l’invio di mail, sms, mms, telefonate automatizzate, copre anche quello per altre forme di comunicazione (ex. posta cartacea, telefonate tramite operatore).
  • Il non consenso, quando proposto in modo unico, non permetterà al titolare di inviare alcuna comunicazione.
  • Il GDPR prevede che, se il trattamento è basato sui legittimi interessi, non occorre il consenso. Significa che i legittimi interessi del titolare del trattamento possono rendere lecito il trattamento, a condizione che non prevalgano gli interessi o i diritti e le libertà fondamentali dell’interessato.

Esempio 1 – Quando esiste una relazione pertinente e appropriata tra l’interessato e il titolare del trattamento: l’interessato è alle dipendenze del titolare del trattamento.

Esempio 2 – Quando si è in presenza di un cliente acquisito, si può far leva sul “bilanciamento degli interessi” e quindi la base giuridica può consistere nei legittimi interessi del titolare evitando il consenso, purché si rispettino i seguenti requisiti dimostrabili al Garante   

  • la trasmissione del messaggio avviene per posta elettronica (non sono ammesse comunicazioni telefoniche);
  • la mail deve essere quella indicata nel contesto della vendita di un prodotto o servizio;
  • i messaggi devono essere inviati a fini di vendita diretta di prodotti e/o servizi forniti dal titolare, mai da terzi;
  • il prodotto o il servizio devono essere analoghi a quelli già acquistati dall’interessato;
  • il destinatario non deve aver rifiutato all’inizio o nel corso di ulteriori comunicazioni tale invio di comunicazioni promozionali;
  • il destinatario deve avere la possibilità di opporsi al trattamento dei dati in ogni momento, gratuitamente e in maniera semplice.

Marketing indiretto

L’identificazione dell’utente può avvenire solo previo consenso manifestato sulla base di una informativa che espliciti tale finalità.

Il termine di conservazione dei dati

Al fine di consentire una verifica della compliance in ambito privacy per le attività di privacy è necessario valutare, oltre ai requisiti di consenso al trattamento, il periodo di conservazione dei dati.

Il Regolamento stabilisce che i dati devono essere “conservati in una forma che consenta l’identificazione degli interessati per un arco di tempo non superiore al conseguimento delle finalità per le quali sono trattati; i dati personali possono essere conservati per periodi più lunghi a condizione che siano trattati esclusivamente a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici”.

L’articolo 13 del GDPR prevede che il titolare del trattamento debba informare gli interessati circa il periodo di conservazione dei dati personali e, se ciò non è possibile, almeno dei “criteri utilizzati per determinare tale periodo”.

Il tempo di conservazione in taluni trattamenti è preciso (per esempio se legato a obblighi contrattuali, normative, la garanzia del prodotto, termini di prescrizioni per far fronte a futuri contenziosi). In caso contrario viene stabilito direttamente dal titolare e talvolta non è di facile individuazione, in quanto non è immediato valutare la proporzionalità rispetto alla finalità del trattamento come richiesto dal GDPR. In ogni caso un tempo di conservazione illimitato non è mai consentito.

Una volta terminato tale periodo il dato va cancellato (da tutti i supporti, compresi i backup) oppure, in alternativa, anonimizzato.

Gli otoprotettori sono DPI di III categoria

Il 21 aprile 2018 è entrato in vigore il Regolamento 2016/425 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 sui dispositivi di protezione individuale (DPI). Il Regolamento ha abrogato la direttiva 89/686/CEE.

Con il nuovo Regolamento, un DPI conforme alla precedente direttiva può cambiare categoria di appartenenza. Esemplare il caso degli otoprettori (tappi e cuffie) che diventano DPI di III categoria.

La nuova definizione delle tre categorie dei DPI è contenuta nell’Allegato I del Regolamento e li distingue sulla base dei rischi da cui proteggono chi ne fa uso.

DPI di I categoria

I dispositivi che proteggono da:

  • lesioni meccaniche superficiali;
  • contatto con prodotti per la pulizia poco aggressivi o contatto prolungato con l’acqua;
  • contatto con superfici calde che non superino i 50 °C;
  • lesioni oculari dovute all’esposizione alla luce del sole (diverse dalle lesioni dovute all’osservazione del sole);
  • condizioni atmosferiche di natura non estrema.
La nuova definizione delle tre categorie dei DPI è contenuta nell'Allegato I del Regolamento 2016/425 e li distingue sulla base dei rischi da cui proteggono chi ne fa uso.

DPI di II categoria

Sono i DPI che non rientrano né nella I né nella III categoria.

DPI di III categoria

Sono i DPI che proteggono da rischi che possono causare morte o danni alla salute irreversibili e che sono connessi a

  • sostanze e miscele pericolose per la salute;
  • atmosfere con carenza di ossigeno;
  • agenti biologici nocivi;
  • radiazioni ionizzanti;
  • ambienti ad alta temperatura aventi effetti comparabili a quelli di una temperatura dell’aria di almeno 100 °C;
  • ambienti a bassa temperatura aventi effetti comparabili a quelli di una temperatura dell’aria di – 50 °C o inferiore;
  • cadute dall’alto;  
  • scosse elettriche e lavoro sotto tensione;
  • annegamento;
  • tagli da seghe a catena portatili;
  • getti ad alta pressione;
  • ferite da proiettile o da coltello;
  • rumore nocivo.
I DPI di III categoria sono quelli che proteggono da rischi che possono causare morte o danni alla salute irreversibili. Tra questi rischi è compreso il rumore nocivo.

Gli otoprotettori

L’ultimo dei casi elencati è quello che riguarda gli otoprotettori, la cui funzione è quella di proteggere i lavoratori dal rumore. La nocività di questo fattore di rischio è determinata dal livello di esposizione: secondo l’art. 193 del D. L.vo 81/08, l’utilizzo deve essere previsto a partire da un livello di esposizione giornaliera pari a 80 dB(A) o, per i rumori che presentano brusche variazioni, un valore di pressione acustica istantanea di 135 dB(C). Questi dati si ricavano dalle valutazioni dell’esposizione al rumore, parte integrante del documento di valutazione dei rischi aziendale.

Obbligo di addestramento

Il Testo Unico Sicurezza (D. L.vo 81/08 e ss.mm.ii.) impone all’art.77 comma 5 che il datore di lavoro provveda all’addestramento del personale che deve fare uso di DPI di III categoria.

L’addestramento non equivale alla formazione: addestrare significa dimostrare le modalità operative di utilizzo. Non esiste quindi un obbligo di frequenza a un corso di formazione per DPI di III categoria né una frequenza obbligatoria di aggiornamento, ma il percorso di formazione diviene la base per rendere comprensibili gli aspetti pratici. Il percorso formativo per i DPI di III categoria è quindi adeguato se comprende anche una parte pratica, operativa.

Il Testo Unico Sicurezza (D. L.vo 81/08 e ss.mm.ii.) impone all'art.77 comma 5 che il datore di lavoro provveda all'addestramento del personale che deve fare uso di DPI di III categoria, quindi anche degli otoprotettori (tappi e cuffie).

Alla luce della nuova classificazione dei DPI e, quindi, dal 21 aprile 2018, il datore di lavoro deve essere in grado di dimostrare di aver addestrato il personale anche all’utilizzo degli otoprotettori.